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«Siamo un popolo che è vissuto di promesse, spesso non mantenute, dando spazio alla nostra inclinazione verso "l'uomo dei miracoli"; cioè a quella idea salvifica che è connaturata con un pensiero semplificato che storicamente ci appartiene. Questo non vuol dire che siamo dei creduloni, siamo solo un popolo esausto, che a volte ama sentirsi raccontare cose rassicuranti, amene narrazioni. Allora da decenni passiamo da una speranza all'altra e, purtroppo, da una delusione all'altra; il sogno resta l'ultima frontiera per continuare a sperare e pensare che domani potrà essere un giorno migliore. Amo e comprendo questo popolo stanco, che ad una pessima realtà ha preferito la dimensione onirica. Amo la sua adattabilità ideologica, il suo migrare con grande facilità dal rigore al permissivismo, dall'accoglienza all'autarchia, dal decisionismo alla ponderatezza. Non siamo degli sciocchi, tutt'altro; noi crediamo a tutto e tutti perché in realtà non crediamo a nulla e a nessuno. Ma stiamo al gioco, viviamo in questo mondo fantastico, in questa verità di superficie, perché ben conosciamo la differenza tra fantasia e realtà. Abbiamo quindi deciso di concederci un altro giro di giostra. Abbiamo scelto di vivere immersi in un infinito presente, dove l'esistenza perde di progettualità e dove alle pessime verità si preferiscono le seducenti menzogne. Questo disimpegno culturale è la rappresentazione di una volontà di ricercare vane rassicurazioni al di fuori della nostra capacità di auto-determinarci. Temo che non ci sia ben chiaro che la "crescita intellettuale" è la sola condizione in grado di garantirci una esistenza dignitosa.» (L'autore)